Il “Papa di settembre” (come lo ha definito una recente pubblicazione in lingua inglese) non viene proclamato beato per il breve tempo in cui, sulla terra, è stato Vicario di Cristo. Stefania Falasca, vice-postulatrice della Causa di canonizzazione e oggi vice-presidente della Fondazione vaticana Giovanni Paolo I ha rimarcato con forza che non si “beatifica” un pontificato. Piuttosto, si proclama davanti al popolo di Dio e davanti al mondo che il cristiano, il sacerdote, il vescovo Albino Luciani – divenuto alla fine della vita Vescovo di Roma e Successore di Pietro -, visse una intima unione con Dio, realizzata dalla Grazia di Cristo, e manifestatasi in lui nelle virtù della Fides Romana, esercitate “in grado eroico”: quelle teologali della fede, della speranza e della carità, insieme a quelle cardinali della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza. Quelle che Papa Giovanni XXIII, nel Giornale dell’anima chiamava «le Sette lampade di santificazione».
Intorno a quelle sette virtù, le sette lampade della vita cristiana, è intessuto tutto il breve e imparagonabile magistero pontificio di Giovanni Paolo I. Erano esse l’incipit a cui voleva improntare tutta la sua predicazione. Erano le sette virtù il “programma” da svolgere nelle sue prime catechesi, facendole precedere da quella dedicata all’umiltà. Riuscì a realizzare solo quelle dedicate alle tre virtù teologali.
Nell’Aula Nervi, Papa Luciani fece risplendere la fede aiutandosi con le citazioni di Trilussa e Sant’Agostino, per attestare che la fede non consiste nel “credere che Dio esiste”, ma nell’affidarsi a Lui («Questo è anche credere in Dio, che è certamente più che credere a Dio»), e riconoscere che quella di Cristo «Non è una dottrina nostra», e noi «dobbiamo solo custodirla, dobbiamo solo presentarla».